Skip to main content
Diete e alimentazione

Vegetarismo, considerazioni economiche spicciole

Lungi da me il voler parlare esaustivamente delle implicazioni economiche mondiali dell’alimentazione vegetariana o onnivora (chi fosse interessato può consultare queste pagine del sito della Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana), con questo post voglio semplicemente considerare l’impatto di una dieta vegetariana o vegana sul portafoglio di una persona qualunque. Ovviamente, se avete esperienze diverse dalla mia, ogni commento integrativo è bene accetto!

Se si eliminano cibi come la carne e il pesce, è ovvio che si spenda meno al supermercato: c’è la possibilità di comprare verdure e legumi che costano meno, quindi in teoria qualche soldo in più rimane in tasca. Però non è così semplice perché molto spesso il vegetariano, soprattutto il vegano, è spinto da qualcosa di più di un semplice rifiuto per un tipo di alimento, è insito nel suo modo di vivere il voler rispettare la natura e i cicli biologici dei prodotti della terra. Ecco che allora si ricorre alla spesa nei negozi di prodotti biologici, dove si comprano tofu, tempeh, verdure biologiche, seitan, prodotti di farro, kamut, soia, semi… tutte cose prima di tutto più costose di una porzione di fagioli comprata al supermercato, e poi spesso laboriose. Questi punti vanno spiegati bene perché potrei essere frainteso.

I prodotti biologici sono più costosi dei prodotti non biologici perché hanno una resa minore, oltre questo prodotti come tofu, tempeh, seitan e secondi vegetali in genere hanno un costo simile a quello della carne. Per poter soddisfare a pieno la coscienza naturalista, un vegano deve necessariamente rivolgersi a questo tipo di prodotti, che sono a chilometro 0, di stagione e trattati con meno pesticidi possibili. In questo modo l’alimentazione sarà più sana e più in linea con i cicli stagionali. Questo comporta spese più o meno equivalenti a chi mangia carne, se ci si limita a far la spesa nei grossi negozi di prodotti biologici, forse un po’ superiore se ancora ci si serve dei supermercati per certi acquisti e si aggiunge poi la spesa al negozio bio.
La laboriosità della  alimentazione naturale e vegan poi è data da molti fattori: spesso il vegano preferisce farsi il tofu, il seitan, il tempeh a casa propria, invece di comprarlo pronto; spesso il vegano preferisce comprare cereali e legumi freschi, che poi vanno messi in ammollo per ore, piuttosto che quelli pronti; spesso il vegano è un buongustaio, quindi desidera ardentemente piatti elaborati, che siano soddisfacenti e gustosi. Per essere soddisfatti di una dieta vegana bisogna perdere un po’ di tempo in cucina, cosa che non a tutti piace. Ovvio che non sia sempre così, per fare un’insalata di farro non ci vuole più tempo del fare un’insalata di riso, ma se il farro viene comprato biologico, senza alcun trattamento, va messo in ammollo, vuol dire che il piatto non può essere estemporaneo, ma va preparato prima. Inoltre il vegano è spesso una persona più colta, a livello alimentare, di quanto lo sia un onnivoro (con le dovute eccezioni, ovviamente, ma il fatto che ci siano meno carenze nutrizionali tra le popolazioni vegane che tra quelle onnivore sembra avvalorare questa tesi (fonte: Baroni, Luciana – VegPyramid, la dieta vegetariana degli italiani. Seconda edizione, Ed. Sonda, gennaio 2009)), quindi c’è anche un lavoro coscienzioso di approfondimento di certi temi.

Questa serie di “intralci” sono un ostacolo che, per quanto piccolo, potrebbe far rallentare la diffusione di quello che è uno degli stili di vita più salutari che ci possano essere, ed è un peccato: la morale della favola è che se vuoi trattare bene il tuo organismo devi spendere a volte di più di quanto si spenda trattandolo male (un pasto vegetariano costa molto di più di un pasto ad un fast food) e devi dedicarci tempo. Tempo e soldi sono quello che, in questo periodo storico, mancano di più alle persone, la diffusione di un corretto stile di vita viaggia anche su canali economici e sociali, spero solo  che le cose cambino e che il trattarsi bene sia considerato una necessità primaria più che un lusso.

Brescia, 19 luglio 2011
Dott. Giuliano Parpaglioni, biologo nutrizionista, Brescia, Leno e Toscolano Maderno

16 Comments

  • Giuseppe ha detto:

    Come sempre, un ottimo articolo che da spunto a riflessioni importanti.

    Una buona cultura alimentare è sempre un grande vantaggio, anche quando la situazione delle nostre tasche è debole e non ci permette di colmare alcune lacune dell'integrazione alimentare. Ma almeno possiamo creare un buon equilibrio.

  • Franz Mosco ha detto:

    Io credo che per mangiare bene senza svenarsi occorra tempo, vegano o meno che tu sia. Questo tipo di vita ci stia privando del tempo per vivere, per mangiare decentemente, e pure quello per risparmiare 4 penny.

    da quando mi ritrovo con un po' di tempo, mi sono resa conto ad esempio che i supermercati non ti vendono ne' qualita' ne', pare strano, risparmio. Ti vendono tempo.

    Entri, di solito di corsa dopo il lavoro, carrello alla mano compri verdura, carne, latte, calze, crema per le mani, marmellata, cereali, anche prodotti "bio", esci e torni a casa. E sei a posto, hai terminato la spesa.

    Finche' posso, mi prendo il tempo di uscire, montare in bici, andare dall'altra parte della città, fino al distributore di latte crudo riempito quotidianamente da un contadino, compro un litro di latte fresco di qualità eccellente a euro 1,10. Al supermercato euro 1,5. Il martedì mattina e il sabato c'e' il mercato dei contadini: frutta e verdura fresche a prezzi inferiori che al supermercato. ma quante persone il martedì mattina possono andare al mercato?

    Carne: migliore e a prezzo leggermente inferiore in macelleria. pare strano eh? dal macellaio, carne a chilometri 0 (facciamo a chilometri 20, va'). Che ha il negozio in centro storico dove arrivi solo a piedi, oppure nel vicolo Quellaltro o in quell'accidente di strada senza parcheggi decenti.

    E la mattina è andata. Poi resta da comprare la crema per mani e le calze di cui sopra e i cereali bio. Io posso perche' al momento ho tempo. Quante altre persone possono farlo?

    Augh, viso pallido ha parlato 😉

  • Anonimo ha detto:

    Io sono un vegetariano fortunato, ho la possibilità, e la passione, di coltivare un orto di circa 100 mq davanti a casa, quindi per tutta l'estate ho praticamente verdura fresca e gratis, e più o meno so che pesticidi può contenere 🙂

    Considerazioni comunque oneste le tue 🙂
    Riguardo all'argomento c'è molto da dire: la bufala (?) della pericolosità dalla soia, la "questione" B12, i bambini e le donne in gravidanza vegetariane 🙂

  • Anonimo ha detto:

    Grazie mille della segnalazione, articolo molto esaustivo e apprezzate anche le risposte che dà nei commenti 🙂

  • Anonimo ha detto:

    Buongiorno, sorgono sponatanee due domande.
    1) se il biologico costa di più perché produce di meno" bisognerebbe considerare anche il suo impatto a parità di produzione. Se produrre di meno vuol dire usare più risorse va da se…
    2) Sono stato vegetariano per una decina d'anni, ma ho sempre consumato formaggi in quantità. Per ridurre i formaggi o deciso di riprendere a mangiare pesce. Le mie non sono considerazioni nutrizionali quanto di piacere. Se mangio un po' di pesce durante la settimana sento meno il bisogno di mangiare formaggi. Da vegetariano *integralista* mi son sempre chiesto perché preferire il biologico. Insomma nel bio la concimazione si fa per forza con letame o con farine d'ossa animali…sarebbe più coerente preferire prodotti coltivati con fertilizzanti di sintesi. O no?

    Questo articolo mi sembra un pelino ideologico (in buona fede)

    frenk

  • @frenk: ammetto di non aver capito il primo punto. L'impatto del biologico è minore l'agricoltore/allevatore ha comunque spese (alcuni pesticidi sono permessi, inoltre anche la lotta biologica con gli insetti costa) e per rimanere in attivo è normale che aumenti i prezzi di quel che vende…
    Per quanto riguarda il secondo, i formaggi non sono assolutamente indispensabili per una corretta alimentazione, tanto è vero che i vegani ne fanno a meno e non hanno più carenze di chi ne mangia (anzi, spesso di meno). Rivolgersi al pesce è una scelta come un'altra, ovviamente una persona che volesse rimanere vegetariano questa scelta non la fa.

    Ideologico per cosa? Se intendi a favore del vegetarismo sì, hai ragione.

  • Anonimo ha detto:

    Hai scritto che molti veg preferiscono acquistare bioligico perché rispettoso dell'ambiente, ecc.
    L'impatto ambientale del biologico, può essere minore localmente. Se consideriamo un ettaro coltivato bio e uno coltivato convenzionale è probabile che se consideriamo la biodiversità, questa sia a favore del bio. Però sarebbe più corretto comparare l'impatto a parità di produzione. Un ettaro coltivato bio produce di meno di uno convenzionale, ergo ci vuole più terra per ottenere la stessa quantità di cibo. E' bene ricordare che un campo incolto è sicuramente più *biodiverso* di un qualsiasi campo coltivato!

    Riguardo a formaggi e pesce avevo prescisato che le mie erano considerazioni senza il minimo valore dal punto di vista nutrizionistico, meglio ribadirlo.
    L'idea che mi son fatto è che tra l'essere vegetariano e consumare moderatamente carne non ci sia molta differenza.
    frenk

  • Anonimo ha detto:

    E concludo che se non ci si facesse prendere dall'ideologia del bioogico, spesso fuorviante e fatta di spottoni con scarso valore scientifico…si potrebbe essere veg spendendo di meno.
    frenk

  • Anonimo ha detto:

    pps
    Da notare che le aziende biologiche raramente allevano e coltivano. Quindi il letame (obbligatorio in agricoltura bio) viene da altre aziende che non devono per forza allevare in modo biologico.

  • @frenk: sì, certo, se si vuol produrre la stessa quantità di verdura c'è bisogno di più spazio, ovviamente, e altrettanto ovviamente a livello di biodiversità un prato incolto ne ha molta più di un campo coltivato, su questo sono perfettamente d'accordo. Pesce o non pesce fa la differenza tra un vegetariano e un non-vegetariano, se a livello alimentare/salutistico ci può essere, è vero, poca differenza (dipende dal pesce, comunque: non dimentichiamoci il mercurio) credo che la differenza più grande sia a livello etico, ma questa è una scelta del tutto personale e non mi sento di condannare nessuno per una scelta o l'altra (io stesso ogni tanto la carne la mangio).

    Il discorso del biologico, comunque, è molto complesso. Ti consiglio di guardare anche il link che ho messo in alto nel post: non è solo propaganda "con scarso valore scientifico", piuttosto da un po' di tempo si sta seriamente discutendo, a livello scientifico, dell'impatto ambientale che hanno l'allevamento intensivo, l'agricoltura e l'agricoltura biologica. Un ottimo dossier è presente tra quei link (l'ultimo), dacci un'occhiata 🙂 In ogni caso sì: il tuo secondo post scriptum ha tutto il mio appoggio. Però da qualche parte si deve pur partire.

  • Anonimo ha detto:

    Grazie per la risposta. Quel report che hai lincato mi perseguita ;). Sono in molti a citarlo a drila tutta leggere(co)gnomi quali Berati, Tettamenti genera in me un pregiudizio negativo che non mi invoglia alla lettura. Sono chi sono, sono stato un vegeteriano parecchio integralista in passato ;). A quanto pare il report non è peer reviewed o sbaglio? Vista la calura affronterò la lettura e se non si va troppo ot scriverei un post sull'idea che mi sarò fatto. Saluti

    Frenk

  • Anonimo ha detto:

    Errata: leggere "So chi sono" invece di "Sono chi sono" 😛

  • Anonimo ha detto:

    La curiosità mi ha spinto a cercare sul diabolico publishORperish le pubblicazioni del Dott. Tettamanti. Dal 1996 al 2005 pare che abbia pubblicato 6 articoli, nessuno dei quali è stato citato più di una volta all' anno. Se questi sono gli esperti della SSNV, stiamo messi bene.
    http://dl.dropbox.com/u/17880196/1.png

  • Anonimo ha detto:

    A onor del vero, ci sono altri due articoli da citare, uno del 2005 (e si sale a quota 7 in nove anni) citato 0,57 volte l'anno. E il premio va ad un articolo pubblicato sull' European Journal of Clinical Nutrition citato 6.4 volte l'anno. Insomma questo ultimo paper (che tratta proprio l'argomento abitutdini nutrizionali/impatto ambientale) alza un po' la media. Ma mi sembra pochino.

  • @Frenk: intanto ti ringrazio per avermi segnalato Publish Or Perish che non conoscevo. Per quanto riguarda il dossier no, non è peer reviewed, ma è secondo me strutturato bene e con una bibliografia di base (che però ammetto di non aver esaminato a fondo). Sarebbero da cercare articoli peer reviewed sullo stesso argomento e confrontare i dati. Su Tettamanti non mi esprimo, non ho le basi per farlo: non conosco il suo lavoro se non quello di divulgatore per l'SSNV (l'ho visto anche ad una conferenza, che presentava proprio i dati del dossier), quindi non ho i mezzi per giudicare. Però posso dire che "Se questi sono gli esperti della SSNV, stiamo messi bene" mi sembra una frase un po' forte: Tettamanti, buono o cattivo che sia come rappresentante, non è certo l'unico. La Baroni è una persona che reputo seria e preparata, così Proietti, De Pretis e altri della società. Il loro contributo ad una corretta informazione veg*ana è indubbio, secondo me.

Leave a Reply

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.